Giambi (CSA):"Bisogna poter vivere ancora la propria azienda"
- Aris Alpi
- 17 lug 2020
- Tempo di lettura: 4 min
"Prevedere il diritto alle agibilità sindacali complete anche a chi lavora in smart working: l'attuale legge, infatti, oggi prevede che non si possono chiedere ore di permesso sindacale per partecipare ad attività sindacali, ma solo permessi a giornata intera. Questo vuol dire che o il lavoratore non può partecipare oppure che, con le poche ore a disposizione delle organizzazioni sindacali, queste rischiano di consumarsi, per anche una sola ora di necessità, nel giro di pochissimi mesi.
I lavoratori devono poter continuare a "vivere" la propria azienda come previsto dallo statuto dei lavoratori anche se svolgono le loro attività da remoto."
(Marina Giambi)

“Questo studio conferma le azioni di governo nei confronti della PA sono state totalmente fallimentari: mentre la spesa per il personale aumenta, il turnover stenta a decollare, l’età media continua a crescere, le attività di formazione rimangono del tutto insufficienti e mancano ancora strategie chiare per la gestione del personale. Oltretutto, il settore in cui queste carenze sono più evidenti è proprio quello degli Enti Locali, che viene sempre considerato marginale rispetto a tutti gli altri, come se l’autonomia ad essi riconosciuta dalla Costituzione li rendesse un qualcosa di “esterno” alla macchina dello Stato. Inoltre, per quanto riguarda lo smart working, per quanto attendibili siano le stime di Forum PA sui risparmi che ha comportato, vorrei che si tenessero sempre presenti anche i risvolti negativi da esso derivanti sull’economia (calo di introiti delle attività commerciali nei pressi dei luoghi di lavoro) e sui rapporti con il cittadino, che vengono progressivamente smaterializzati a danno dell’efficacia e della tempestività dei servizi resi. (Francesco Garofalo, Segretario Generale CSA) Gli spunti nati dal Forum PA sul lavoro pubblico: L’invecchiamento dei lavoratori
La PA italiana continua a invecchiare: l’età media sale a 50,7 anni, 51,3 per le donne e 49,9 per i colleghi, sette anni in più dal 2001 a oggi. Le amministrazioni più anziane sono quelle centrali, con un’età media di 54,3 anni, mentre i più giovani sono i lavoratori in regime di diritto pubblico (44 anni), fra cui incide molto la presenza dei giovanissimi delle forze armate. I dipendenti sotto i 30 anni sono 93mila, il 2,9% del totale, di cui il 70% concentrato nelle forze armate e nei corpi di polizia, il 17% nel SSN. I lavoratori con più di 60 anni sono circa 546mila (16,9%), sei volte più numerosi dei giovani. Nella Carriera Prefettizia, alla Presidenza del Consiglio, nei Ministeri, nelle Agenzie Fiscali 3 dipendenti su 10 hanno più di 60 anni
Il calo della formazione
Un dato positivo è il numero dei laureati nella PA, salito a 1,3 milioni nel 2018, +42% rispetto a 15 anni prima: oggi quattro dipendenti su dieci hanno conseguito una laurea o titoli superiori. Ma arretrano gli investimenti per la formazione nel corso della carriera: sono diminuiti del 41% dal 2008 al 2018, assestandosi ad appena 48 euro di spesa per ogni dipendente. In pratica, poco più di una giornata di formazione a testa in un anno nella media generale, che scende addirittura a mezza giornata l’anno per ogni dipendente dei ministeri, tre ore l’anno nella scuola
I “pensionabili”
A destare preoccupazione e a richiedere un investimento diverso nella PA non sono solo i numeri di chi resta, ma anche di quanti sono in pensione o pronti a uscire. Ad oggi, il personale stabile della PA che ha compiuto 62 anni è pari a oltre 540mila persone, il 16,9% del totale, e sono 198mila i dipendenti che hanno maturato oltre 38 anni di anzianità. I servizi saranno il comparto più coinvolto dalle uscite: 53mila dalle Regioni e dalle autonomie locali (il 12,6% del comparto), 98mila dalle amministrazioni locali e territoriali. Nelle amministrazioni centrali il 13,5%, nella Presidenza del Consiglio e nella Carriera prefettizia il 20,6%. Dal Sistema Sanitario Nazionale, in prima linea nella gestione dell’emergenza Covid19, potrebbero uscire nei prossimi 3-4 anni oltre 100mila persone, il 16,3%
Gli ingressi nella PA
Dopo una forte discesa fra il 2008 e il 2013, le politiche di stabilizzazione del personale precario della PA hanno iniziato a risalire: dal 2007 a oggi sono state stabilizzate oltre 81mila persone, di cui 1.700 nel 2018. I nuovi assunti sono stati circa 112mila, di cui 96mila nominati per concorso, 1.200 per chiamata numerica o diretta nelle categorie protette, quelli che rientrano nelle “altre cause”, fra cui i tempi determinati, più di 14.800. I nuovi arrivati della Pubblica Amministrazione sono approdati per il 29,1% nella Sanità, per il 26,7% nel sistema dell’Istruzione e della Ricerca, per il 23,4% nelle Forze armate, nei Corpi di Polizia ma anche 4 professori e ricercatori universitari (personale in regime di diritto pubblico). C’è poi un 14,2% che ha fatto il suo ingresso nelle Regioni e nelle autonomie locali.
I concorsi
Dallo scorso anno ad oggi sono stati pochi i grandi concorsi svolti e quasi nessuno ha concluso le procedure di selezione: da settembre 2019 a giugno 2020, al netto del comparto dell’Istruzione e della Ricerca, sono stati banditi circa 3100 concorsi per 21.917 posizioni lavorative, meno di un terzo dei posti messi a bando con i concorsi per la scuola (78.000 docenti). I tempi medi per le procedure concorsuali variano tra i 16 e i 18 mesi, a cui per le amministrazioni dello stato vanno sommati quelli per le procedure autorizzative. Per tutti i concorsi è arrivato il blocco covid-19 e la ripresa prevede novità di distanziamento e snellimento: con il decreto Rilancio si punta a concludere rapidamente quelli partiti e avviarne di straordinari per oltre 37.000 assunzioni #csaimola #smartworking #marinagiambi
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